Prima colazione in famiglia, adolescenti più sani

Fare la prima colazione in famiglia può giovare alla salute degli adolescenti, sia per la dieta, sia per il peso corporeo.

Nell’ambito dei dati ottenuti dallo studio americano di sorvegl...ianza EAT 2010 (Eating and Activity in Teens) sono state considerate le differenze socio-demografiche e le frequenze di consumo dei pasti in famiglia in un campione basato sulla popolazione adolescenziale. In particolare sono state esaminate eventuali associazioni tra la frequenza di consumo della prima colazione in famiglia con la qualità della dieta abituale e le variazioni del BMI.
Erano disponibili i dati relativi a un totale di 2.793 studenti delle medie e delle superiori (53,2% ragazze, età media = 14,4 anni) ai quali venivano misurati il peso e l’altezza, e che riportavano su un questionario i loro consumi alimentari. In media, gli adolescenti hanno riferito di fare la colazione in famiglia circa 1,5 volte e la cena 4,1 volte, nella settimana precedente l’indagine. Sono emerse differenze sostanziali nella frequenza della prima colazione in famiglia dipendenti dall’etnia, nell’ordine i ragazzi neri, ispanici, nativi americani, e di etnia mista mostravano una frequenza più elevata.
La frequenza della colazione in famiglia era anche positivamente associata con il sesso maschile, la giovane età, e il vivere in una delle famiglie dei due genitori. La frequenza della colazione in famiglia era, inoltre, associata ad alcuni marcatori di una migliore qualità della dieta (maggiore assunzione di frutta, cereali integrali e fibre) e con un rischio inferiore di sovrappeso/obesità.

Fonte: Obesità punto it

http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/24139290

J Acad Nutr Diet. 2013 Oct 15. pii: S2212-2672(13)01335-X. doi: 10.1016/j.jand.2013.08.011. [Epub ahead of print]

Eating Breakfast and Dinner Together as a Family: Associations with Sociodemographic Characteristics and Implications for Diet Quality and Weight Status.
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Eating Breakfast and Dinner Together as a F... [J Acad Nutr Diet. 2013] - PubMed - NCBI
www.ncbi.nlm.nih.gov
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Coesterolo HDL “buono” anche contro il diabete

Il colesterolo HDL migliora i livelli ematici di glucosio potenziando la funzione muscolare e riducendo il tessuto adiposo. Lo dimostra uno studio coordinato dal centro di ricerca Helmholtz di Monaco di Baviera pubblicato sulla rivista Circulation.

I ricercatori guidati da Susanna Hofmann hanno osservato che la totale assenza di apolipoproteina A1 ...(ApoA-1, la principale componente del colesterolo HDL) comporta una riduzione delle calorie bruciate dal muscolo scheletrico: questa condizione si associa ad una funzione muscolare più debole e ad un aumento del glucosio ematico. Sia l’apolipoproteina A1 che il colesterolo HDL, infatti, potenziano l’utilizzo del glucosio nelle cellule muscolari. L’innalzamento dei loro valori in modelli animali ha dimostrato un effetto protettivo contro l’iperglicemia e i sintomi legati all’età come il calo delle performance muscolari e l’aumento della massa grassa. Questi risultati sono il frutto del miglioramento del metabolismo energetico nei mitocondri, dimostrato anche dal calo del fattore di crescita FGF 21 circolante (un nuovo biomarcatore delle disfunzioni mitocondriali).
La scoperta potrà avere presto importanti ricadute nel trattamento del diabete: analoghi dell’apolipoproteina A1 si stanno già affacciando all’orizzonte, e proprio in questi mesi sono in sperimentazione per la prevenzione e il trattamento dell’aterosclerosi. I pazienti che potrebbero trarne maggiore beneficio sarebbero le donne con diabete di tipo 2, più esposte al rischio cardiovascolare rispetto agli uomini.

Lehti M et al. “High-density lipoprotein maintains skeletal muscle function by modulating cellular respiration in mice”. Circulation 2013; doi: 10.1161/CIRCULATIONAHA.113.001551

Fonte: M.D.WebTv
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Celiachia, il peso dell’alimentazione dei primi mesi

Rimandare troppo a lungo l’introduzione del glutine nella dieta dei più piccoli aumenta il rischio che i bimbi sviluppino celiachia. A questa conclusione sono giunti i ricercatori norvegesi guidati da Ketil Stordal del Norwegian institute of public health di Oslo dopo aver analizzato i dati relativi a 82.167 bambini – 324 con celiachia – appartenenti allo studio di coorte The Norwegian mother and child cohort study. «Le tempistiche di introduzione del
glutine nell’alimentazione dei bambini sono state associate al rischio di celiachia già in studi precedenti, ma non ci sono
 
 
 
 

Pediatrics. 2013 Oct 7 [Epub ahead of print]

Fonte: Doctor33
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Aumentano disturbi alimentari fra teen-ager maschi
Ossessionati da peso e muscoli

I disturbi alimentari fra i ragazzi sono più comuni di quanto ci si aspetti, mentre il fenomeno si pensa erroneamente confinato solo alle ragazze. I maschi estremamente preoccupati per il proprio peso e fisico sono invece il 17,9%. Anoressia, bulimia, fissazione per i muscoli sono in aumento, così come il consumo ...di sostanze pericolose come integratori, ormoni della crescita e steroidi, diete ferree e depressione. Lo dimostra un'indagine svolta su 5.527 teenager americani al Children's hospital di Boston, pubblicata su Jama Pediatrics. Ma il problema, affermano gli esperti, è presente sempre di più anche in Italia.

Il 9,2% dei maschi è particolarmente preoccupato per la muscolosità, il 2,5% vorrebbe essere più magro e il 6,3% è preoccupato per l'aspetto. Chi si fissa con i muscoli consuma integratori e ormoni due volte di più rispetto agli altri ed è anche più predisposto al consumo di alcolici. I ragazzi esasperati dal peso sono invece più soggetti a sintomi depressivi, anoressia e bulimia nervosa, si legge sulla ricerca.

"Il fenomeno è presente anche in Italia", spiega Andrea Vania del Dipartimento di pediatria e neuropsichiatria infantile università Sapienza di Roma: "Il principale disturbo di condotta alimentare dei giovani maschi italiani è il complesso di Adone, detto anche vigoressia o bigoressia, ovvero la fissazione di voler diventare più vigorosi e muscolosi". "Essendo disturbi nuovi mancano ancora gli strumenti per indagare e conoscere il fenomeno - Precisa Vania -. Mentre per anoressia e bulimia ci sono test diagnostici precisi, ancora non ce ne sono di ampiamente accettati per questi nuovi problemi.


Medici e famiglie devono essere però consapevoli di questo rischio, in parte normale per l'adolescenza ma conseguente anche alla globalizzazione dei modelli di riferimento e ad una accelerazione della società che oggi fornisce facilmente scorciatoie con cui l'adolescente trova mezzi rapidi per evitare i problemi, senza affrontarli davvero".

Fonte: Ansa
 


 


Sono sa...le iodato e selenio, i due migliori amici della tiroide, soprattutto per quanto riguarda la prevenzione. Questo quanto hanno ribadito gli esperti riuniti nel corso del convegno “Ipotiroidismo: diagnosi, terapia e follow-up” che si è svolto a Milano, un'iniziativa in cui si è fatta un po' di chiarezza su questo organo, di cui la società sa ancora molto poco.

“La tiroide è poco conosciuta e quello che si sa spesso è errato. In genere le viene attribuita la colpa dei chili di troppo e qualcuno pensa di dimagrire agendo su questo organo ma, quando questo succede, si ottiene un dimagrimento in cambio della salute e a volte della vita”, ha affermato Paolo Beck-Peccoz, Direttore del Dipartimento di Scienze Cliniche e di Comunità U.O. di Endocrinologia e Diabetologia Università degli Studi di Milano, che era presente all'incontro. “Quando la tiroide è sana ha solo bisogno di essere sostenuta attraverso l’impiego del sale iodato in cucina, introduce l’endocrinologo. Gli effetti positivi della iodoprofilassi saranno visibili solo tra 50 anni e, forse proprio per questo, nonostante le campagne di promozione del sale iodato, nel nostro Paese si contano ancora 6 milioni di casi di gozzo. Il consumo di sale iodato in Italia, dopo l’introduzione della relativa Legge del 2005, è superiore al 50%, ma è ben lontano dal 90% che l’OMS indica quale limite minimo per l’efficacia della profilassi.

Gli effetti negativi della mancanza nutrizionale di iodio sono ancora più rilevanti in gravidanza a causa della maggiore necessità di iodio per la gestante e per il nascituro. Una carenza di iodio in corso di gravidanza può avere conseguenze negative importanti sullo sviluppo psico-neurologico del bambino. Durante la gestazione infatti, gli estrogeni aumentano l’escrezione renale di iodio che porta ad un incremento del fabbisogno di questo microelemento. Inoltre, l’aumentato lavoro della tiroide materna che deve sopperire alle esigenze del feto - che svilupperà una propria tiroide solo dopo il quarto mese - portano ad un fenomeno conosciuto come ipotiroxinemia che viene amplificato dalla carenza iodica. Ecco perché è necessario che la profilassi iodica venga attuata dalle donne che programmano di avere un figlio. È utile che la gestante assuma integratori contenenti iodio durante i primi mesi di gravidanza, ma la soluzione ottimale si ottiene se la donna pratica la profilassi con anticipo rispetto al concepimento”.

In Italia il 10% della popolazione femminile e il 2% di quella maschile è affetto da una malattia cronica su base autoimmune, la tiroidite di Hashimoto, che porta nel tempo la distruzione della ghiandola, causando uno stato di ipotiroidismo. Sono molti gli assistiti che chiedono cosa sia possibile fare per salvare la tiroide e, fino a poco tempo fa, la risposta era negativa; oggi invece ci sono dati che dimostrano che qualcosa può essere fatto. Uno studio condotto su 76 soggetti affetti da tiroidite autoimmune ancora allo stadio subclinico, e pertanto non in terapia con l’ormone sintetico della tiroide, ha evidenziato come dosi fisiologiche di selenio (80 μg/die), siano in grado di ridurre il titolo degli anticorpi antitiroidei (TPO e Tg), e come questo effetto sia del tutto evidente dopo 12 mesi di trattamento con selenio. “I risultati di questo studio, pubblicato su Clinical Endocrinology, 2010 – ha aggiunto Beck-Peccoz – dimostrano quindi che il selenio può avere un’azione protettiva nei confronti della tiroide limitando la progressione del processo infiammatorio provocato dall’aggressione autoimmune; anche solo il rallentamento del processo autoimmune può procrastinare, e in alcuni casi evitare, una terapia che una volta iniziata è necessario continuare a vita”.

“Quando invece l’ipotiroidismo è conclamato abbiamo una molecola perfetta, l’ormone sintetico della tiroide (levotiroxina) che sopperisce andando ad integrare l’attività di una tiroide pigra o andando a sostituire completamente l’azione della tiroide, nel caso in cui questa è stata rimossa”, ha continuato l'esperto. “La terapia è piuttosto semplice e si basa sulla somministrazione della levotiroxina assunta in singola dose giornaliera a digiuno con un dosaggio che deve essere attentamente personalizzato. Nonostante l’apparente semplicità della terapia, studi della letteratura hanno dimostrato la difficoltà di ottenere un costante controllo della terapia con valori ottimali degli ormoni tiroidei. Molti pazienti dichiarano di avere difficoltà nel seguire con precisione le indicazioni del medico circa l’assunzione del farmaco, che deve essere preso almeno 30 minuti prima della colazione per ottenere un assorbimento ottimale. In particolare è proprio quest’ultima indicazione difficile da rispettare, sia per la fretta che caratterizza le ore del risveglio, sia perché il caffè, che è sinonimo di risveglio e di colazione, è una sostanza che riduce l’assorbimento della levotiroxina e conseguentemente va bevuto a distanza dall’assunzione del farmaco. La non aderenza alla terapia, la presenza di una condizione di celiachia, problemi gastroenterologici, quali Helicobacter pylori, gastriti o intolleranza al lattosio, si riflettono sulla concentrazione nel sangue del TSH, l’ormone ipofisario che stimola la tiroide, e alla possibilità di riportare ad una situazione di eutiroidismo, ovvero la presenza della corretta quantità di ormone tiroideo nell'organismo. In tutti questi casi, la disponibilità di una nuova formulazione di levotiroxina in soluzione liquida, venendo assimilata in tempi più rapidi, può risolvere tutti questi aspetti, nonché essere la scelta ottimale nei bambini e in tutte quelle persone che hanno problemi nell’assumere compresse”, ha concluso.

Fonte: Quotidiano Sanità

 

Bambini, a tavola!

Franco Berrino, direttore del Dipartimento di medicina preventiva e predittiva dell’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano spiega rischi e pericoli di un'alimentazione sbagliata in età pediatrica. E i trucchi da seguire al supermercato e in cucina

Il 7% dei bambini lombardi è obeso, nel sud Italia è ancora peggio, la percentuale di obesità raggiunge, dati recenti alla mano, il 20% della popolazione infantile. Per non parlare degli Usa, dove il tasso di obesità in età pediatrica è addirittura del 30%.
Come fare allora a scongiurare questo problema che ha ricadute non da poco sulla salute dei nostri figli, aumentando, ad esempio, a lungo termine il rischio di cancro e quello di malattie cardiovascolari?
Ce lo spiega il professor Franco Berrino, direttore del Dipartimento di medicina preventiva e predittiva dell’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano.

Che cosa dobbiamo necessariamente escludere dalla dieta dei nostri bambini?
Lo zucchero e, in particolare, le bibite zuccherate. Un eccessivo consumo di zucchero favorisce infatti l’obesità, il diabete e le carie dentarie. E obesità e diabete a loro volta predispongono al cancro e alle malattie cardiovascolari. Lo zucchero liquido in particolare, quello di coca-cole, aranciate, tè dolcificati, succhi di frutta e yogurt da bere è ancora più nocivo dello zucchero contenuto in altri alimenti, perché non aumenta neppure il senso di sazietà. Se alle bevande zuccherate si aggiunge poi la frequentazione di fast-food e il tempo trascorso di fronte alla televisione, l’effetto è deleterio. E un’indagine dello scorso anno testimonia tristemente l’andazzo nel nostro paese: in Italia il 46% dei bambini ha la tv in camera e il 48% consuma abitualmente bevande zuccherate.

E poi che cosa dobbiamo bandire dalle nostre tavole?
Un consumo eccessivo di proteine, soprattutto di origine animale. Se gli esperti dell’Organizzazione Mondiale della Sanità e degli Istituti Nazionali della Nutrizione consigliano per un bimbo delle elementari un consumo di circa 40 grammi al giorno di proteine, i nostri figli, in genere, ne consumano esattamente il doppio. Le proteine sono infatti presenti in tutti gli alimenti, eccetto il sale, lo zucchero e le bevande alcoliche.

E l’eccesso di proteine potrà far male ai nostri bambini?
Forse non immediatamente, ma alla lunga sì. I grassi animali che si trovano nei salumi, nei latticini e nei formaggi ostacolano il buon funzionamento dell’insulina e fanno aumentare il colesterolo e la pressione arteriosa. Le carni rosse, e soprattutto le carni conservate (prosciutto, bresaola, wurstel...) costituiscono una delle cause principali dell’aumento drammatico dei tumori dell’intestino. Il cibo animale, inoltre, con l’eccezione del pesce, favorisce gli stati infiammatori ed è molto probabile che l’uso eccessivo di carni e formaggi contribuisca a causare faringiti, tonsilliti, bronchiti, otiti, malattie molto frequenti tra i nostri bimbi. Non a caso, infatti, quando non c’erano ancora gli antibiotici, i medici curavano queste malattie somministrando ai bimbi la classica “purghetta”. Cibarsi prevalentemente di prodotti animali, è garantito, favorisce stitichezza e infiammazioni intestinali e se il bambino non si scarica regolarmente è più suscettibile alle infezioni respiratorie.

Che fare allora?
Ridurre le proteine animali! A scuola sarebbe sufficiente introdurle solo due giorni su cinque, alternando pesce, carne bio, formaggi di buona qualità e uova bio, escludendo tassativamente prosciutti e insaccati. E gli altri giorni: piatti a base di cereali, verdure e legumi. A casa optare per pasta, riso e cereali integrali e scegliere frutta e verdura di stagione.

Ma come fare a convincere i nostri figli a mangiare più verdura?
Se le verdure le mangiano i genitori sarà molto più probabile che le mangino anche i figli, poi se sono di buona qualità e ben cucinate, saranno sicuramente più appetitose. L’importante, poi, è introdurle con gradualità, magari anche con qualche piccolo stratagemma. Avete mai pensato per esempio a un fritto misto di verdure da fare la domenica? Basta acquistare una bottiglia di olio extra vergine d’oliva (il migliore da friggere) e preparare una pastella con acqua minerale e una farina non troppo raffinata, meglio cioè evitare la 00 ed optare per la 1 o la 2. Sarà un piatto gustoso e non avrete che l’imbarazzo delle scelta tra le verdure di stagione.

E che cos’altro fare?
Quando si va al supermercato leggere attentamente le etichette e non acquistare tutti quei prodotti dove lo zucchero compare come primo o secondo ingrediente (gli ingredienti sono infatti elencati per quantità decrescente), se c’è sciroppo di glucosio-fruttosio, non comprate, se c’è zucchero in cibi che non dovrebbero contenerne come pane, fette biscottate, piselli in scatola, sughi pronti, non comperateli.
Immaginate poi di avere, per mano una bisnonna che consiglia e veglia sugli acquisti alimentari. Se si legge l’etichetta e c’è un ingrediente che non si conosce, non bisogna comprarlo, e se voi lo conoscete, ma la bisnonna no, non compratelo ugualmente.

Fonte: La Repubblica

 

Margarine e merendine, allerta contaminazioni

Negli anni 70 erano salutari, perché composte di grassi vegetali. Poi si è scoperto che quei grassi erano idrogenati: un agguato alla salute. Tempo per l’industria di correggere il tiro e inserire in etichetta “grassi non idrogenati”, e le margarine sono di nuovo al centro di un allarme.
Al pari di oli e grassi vegetali, largamente diffusi negli alimenti confezionati, le margarine sono tra gli alimenti più contaminati dal 3-MCPD, una molecola che si genera durante il trattamento industriale dei grassi. E che è classificata come potenzialmente cancerogena per l’uomo (classe 2B) dalla Iarc, l’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro, espressione dell’Oms. Se mancano dati certi sugli effetti del 3-MCPD sull’uomo, è invece appurata la sua azione cancerogena sugli animali. Organo bersaglio: i reni.
A rischio i deboli
A scatenare l’ennesima preoccupazione per ciò che mangiamo è un documento dell’Efsa, l’Agenzia europea per la sicurezza alimentare.
Su richiesta della Commissione europea, l’Agenzia con sede a Parma ha messo in ordine i dati inviati dagli Stati membri sull’esposizione della popolazione al pericoloso contaminante. Incrociandoli con i livelli medi di contaminazione degli alimenti, ha stilato un Rapporto preliminare che disegna un quadro allarmante.
Dal 2009 al 2011 (il periodo cui si riferiscono i dati elaborati) bambini, anche piccolissimi, e anziani hanno ingerito quantità eccessive del tossico 3-MCPD.
La dose massima giornaliera
La dose massima giornaliera ammissibile di questo contaminante è di 2 mcg per kg di peso corporeo. Parliamo di microgrammi, un milionesimo di grammo, o un millesimo di mg, per ogni kg di peso del corpo, valido per tutti: che si tratti di un bambino di due anni, un ragazzino di 10 o un anziano, con funzionalità spesso compromesse dall’età.
Confrontando questa minuscola dose ammissibile con la contaminazione media degli alimenti e le abitudini alimentari degli europei, emerge che margarine e oli e grassi vegetali sono la prima fonte di assunzione di 3-MCPD per il 70% della popolazione. E che conducono al superamento della dose di 2 mcg proprio nelle fasce più deboli.
Per assurdo, il fenomeno è noto ma senza controllo.
Il limite di tolleranza
Esiste un limite di tolleranza all’ingerimento quotidiano del contaminante (inferiore di 500 volte la dose che negli studi sui ratti ha dato evidenza). Ma non vi sono limiti alla sua presenza nei prodotti alimentari, con due eccezioni: la salsa di soia e le proteine vegetali idrolizzate (aggiunte anche come esaltatore di sapidità negli alimenti confezionati), che non devono contenere più di 20 mcg di 3-MCPD per kg.
Forse non era necessario il lavoro dell’Efsa per concludere che in Europa più della salsa di soia usiamo mangiare margarina e oli e grassi vegetali, e che le due fonti di grassi sono anche negli alimenti confezionati, prodotti da forno in testa (pancarré e simili, crackers, merendine, biscotti per la prima colazione e via dicendo).

Fonte: Il Salvagente

 

I miti sul fitness da sfatare

Dimagrire tonificando il proprio corpo è l’obiettivo che tutti si prefiggono. Siamo costantemente bombardati da messaggi di questo genere che ci arrivano un po’ da tutte le parti, internet, amici, e perchè no anche esperti in materia che, a loro modo, cercano di consigliarci al meglio.
Recenti sondaggi hanno messo in evidenza come la mania del fitness si sia radica...ta in Europa e quindi anche in Italia che si colloca al quarto posto nella classifica europea del fitness. Solo nel nostro paese si contano circa 8500 palestre con 5,5 milioni di iscritti. Tralasciando chi può permettersi una iscrizione in palestra, sia dal punto di vista economico che di tempo ,la restante popolazione può consolarsi pensando che anche mezz’ora di esercizio svolto in casa può dare i suoi effetti positivi sia in termini di forma che di salute. Ci sono dei miti , difficili da sfatare, riguardanti il fitness , che andrebbero revisionati per adottare poi una strategia vincente:
- le macchine cardio che si trovano in palestra non sono sempre affidabili nel conteggio delle calorie che stiamo bruciando. Tutto dipende dalla nostra età, dal nostro indice di massa corporea che faranno bruciare un numero di calorie diverse in modo assolutamente personale.
- non sempre il display del battito cardiaco mostra quanto stiamo lavorando. Sempre meglio affidarsi alle reazioni del nostro corpo per calcolare a quale fatica lo stiamo sottoponendo. A seconda se riusciremo a pronunciare frasi intere, frasi corte o solo qualche parola, potremmo davvero dire di conoscere la fatica esatta che stiamo compiendo.
- non è vero che eleggere il domicilio in palestra ci faccia avere più risultati: allenarsi troppo sovraccarica i muscoli ed è spesso controproducente.
- la massa muscolare e la forza non vanno quasi mai di pari passo. E’ provato, a volte, che un campione di karate di corporatura minuta può possedere più forza di un bodybouilder.
- gli esercizi, da soli, non fanno sparire i rotolini di grasso. Bisogna abbinare sempre un’ottima dieta.
- il grasso non si potrà mai trasformare in muscoli.
- sudare non vuol dire dimagrire. A niente vale incellophanarsi mentre si corre; quei liquidi persi saranno reintegrati presto da una bottiglia di acqua.
- allenarsi in modo corretto non vuol dire dover soffrire come un cane.
- fare un allenamento costante non deve diventare un alibi per mangiare di più. E’ sempre opportuno abituare gradualmente il corpo a ricevere una giusta dose di calorie.

Fonte: Dottor Sport
 
Quando dimagrire diventa difficile: le calorie “vuote” che minacciano la linea

Che dimagrire non sia facile lo sappiamo tutti: per far scendere l’ago della bilancia siamo continuamente alle prese con le diete più svariate, fatichiamo in palestra sollevando pesi o salendo sullo step, ci guardiamo allo specchio per vedere se la nostra silhouette, dopo tanti sforzi, mostra qualche segno di migliora...mento.
Quello che forse non sappiamo altrettanto bene, è che ingrassare può essere più facile di quanto pensiamo. Dietro ad abitudini alimentari apparentemente innocue si nascondono pericolose minacce alla linea (ma anche alla salute).
Spesso, infatti, per vanificare del tutto una dieta correttamente impostata nei pasti principali, possono bastare alcuni piccoli “strappi alla regola” a cui non si dà abbastanza peso e che corrono dunque il rischio di non essere conteggiati nel calcolo globale delle calorie: magari un bicchierino di liquore, un cioccolatino, una bibita gassata al pasto anziché semplice acqua.
I pasti consumati fuori casa possono nascondere delle insidie: spesso i piatti serviti alla mensa del lavoro, oppure al ristorante, vengono preparati aggiungendo quantità eccessive di sale e condimenti. Il surplus calorico, in questo caso, diventa davvero importante.
Anche un veloce aperitivo può trasformarsi in una miniera di calorie “vuote”: basti pensare che una manciata di noccioline apporta 150 calorie. E se magari ci aggiungiamo un cocktail alcolico, ecco che raggiungiamo una quota calorica analoga a quella di un mini-pasto, senza neppure accorgercene.
L’alcol, infatti, è un vero e proprio concentrato di calorie: ogni bicchiere di vino, per esempio, ne contiene dalle 65 alle 80, e non sazia di certo la fame.
Attenzione anche alle classiche insalatone, tutt’altro che dietetiche se non si fa attenzione al condimento: con una generosa innaffiata d’olio d’oliva possiamo raggiungere facilmente le 100 calorie.
Le calorie in eccesso si traducono in chili superflui:
“7.000 calorie corrispondono all’accumulo di 1 kg di grasso. Quindi soprattutto nei periodi di festività natalizie e pasquali, quando i consumi alimentari e gli stravizi subiscono una impennata è bene tenere a mente questa equazione!”
Per dimagrire occorre dunque fare particolare attenzione alle fonti di calorie “inconsapevoli” e a quegli automatismi che, quando siamo a tavola o spizzichiamo qualcosa davanti alla tv, ci impediscono di stimare correttamente i nostri consumi.
Oltre ad avere un comportamento alimentare consapevole, se vogliamo liberarci dei chili di troppo è opportuno rivedere il nostro stile di vita. Occorre fare più moto, ed evitare assolutamente la sedentarietà.

Fonte: Ecologiae
 
Cresce il fenomeno delle baby con anoressia

Aumenta vertiginosamente il dramma anoressia tra le più giovani. Bimbe che si controllano ossessivamente allo specchio e arrivano a nascondere l'insalata sotto il cuscino, per far credere ai genitori di aver mangiato almeno quella. E mamme che scoprono il problema solo alla visita dal pediatra. IN FORTE AUMENTO «L'anoressia, e in generale i disordini d...ell'alimentazione, sono in forte aumento negli ultimi anni, ma soprattutto si sta abbassando l'età dei pazienti: trattiamo bambine anoressiche di 9 anni, spesso tanto gravi da richiedere il ricovero. E i maschi non sono da meno: è recente il caso di un piccolo di 9-10 anni». La testimonianza arriva da Stefano Vicari, responsabile dell'Unità operativa di Neuropsichiatria infantile dell'ospedale Bambino Gesù di Roma.

Fonte: Net1news
 
Vitamina D: non previene osteoporosi ma protegge l’anca

Perseverare nell’uso estensivo della vitamina D allo scopo di prevenire l'osteoporosi negli adulti sani sembra del tutto inopportuno. Il che, tradotto in termini più discorsivi, significa che l’assunzione di integratori a base di vitamina D non migliora la densità minerale ossea a livello della colonna vertebrale, dell’avambraccio o del cor...po nel suo insieme. Lo afferma Ian Reid, ricercatore dell’Università di Auckland, in Nuova Zelanda, e coautore di uno studio pubblicato su The Lancet. «La vitamina D, assieme al calcio, è da tempo parte fondamentale nella prevenzione e nel trattamento dell'osteoporosi» esordisce Reid. Basse concentrazioni del composto provocano la comparsa di un iperparatiroidismo secondario con accelerazione del depauperamento minerale osseo, giustificando in pieno la supplementazione vitaminica. Viceversa, il dibattito continua su quale sia la migliore concentrazione di 25-idrossivitamina D per mantenere in buona salute le ossa dei sani, nonostante una recente metanalisi sull’aggiunta di vitamina D in monoterapia non sia riuscita a dimostrare alcuna associazione tra supplementazione e prevenzione delle fratture. Per fare luce sull’argomento i ricercatori hanno portato a termine una revisione sistematica su tutti gli studi clinici controllati e randomizzati riguardanti il colecalciferolo o l’ergocalciferolo e la densità minerale ossea nei pazienti senza malattie delle ossa o del metabolismo del calcio. E dalla nuova metanalisi, che ha coinvolto 23 studi e oltre 4.000 adulti sani con età media di 59 anni, non emerge alcun effetto anti-osteoporotico degli integratori a base di vitamina D assunti per almeno due anni, a parte un piccolo ma significativo aumento della densità ossea (0,8%) al collo femorale. E in un editoriale di commento, Clifford Rosen, dal Maine Medical Research Institute, osserva: «La supplementazione di vitamina D per prevenire l'osteoporosi negli adulti sani è priva di efficacia. Viceversa, assieme a un sufficiente apporto di calcio nella dieta, cioè 800-1200 mg al giorno, potrebbe essere giustificata per la prevenzione delle fratture dell'anca negli anziani».

THE LANCET, EARLY ONLINE PUBLICATION, 11 OCTOBER 2013